– di Massimo Galiotta –
L’espressione arcaica del più popolare film disneyano targato anni Novanta, “La Bella e la bestia” (1991), rivive in una versione drammatica scritta, diretta e interpretata dall’artista olandese di chiare origini italiane Roberto Caradonna.
Caradonna, nativo di Taranto, artista e scrittore, vive e lavora ad Amsterdam ed è l’autore del volumetto «Chi è il mostro?», breve rivisitazione semi-illustrata sul mito di Pasifae e Asterio, il Minotauro; con prefazione di Raffaele K. Salinari (Ed. Il punto rosso, Milano, 2018).
Come nel più noto romanzo basato sulla fiaba di Belle et la bête di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont (comparsa la prima volta nella rivista Magasin des enfants, ou dialogues entre une sage gouvernante et plusieurs de ses élèves, del 1756), animato alla fine del XX secolo dalla Disney, anche nella lettura “nuova” di Caradonna, ci si interroga sul vero aspetto assunto dal mostro, che non è necessariamente colui che ha le sembianze mostruose – ossia l’aspetto fisico dunque estetico -, bensì coloro che vivono, si atteggiano e pensano come penserebbe un essere mostruoso.
In questa complessa cornice, in questo dedalo labirintico sulle vite e le debolezze umane, Roberto Caradonna riporta alla luce una figura dimenticata dalla letteratura e dalla memoria di tutti; l’autore indaga l’Io più profondo dei personaggi che popolano l’antico mito greco, interrogandosi sul personaggio di Asterio (il Minotauro); su Dedalo e Icaro imprigionati dal re Minosse nel noto labirinto, sul rapporto tra deità mitologica e umana tragedia; si sofferma con un approccio inconsueto – con animazioni didascaliche – sui fatti che hanno generato il cosiddetto “mostro”, sulle vicende all’origine del mostruoso essere, il Minotauro:
Il desiderio mostruoso di Pasifae, regina di Creta e moglie di Minosse, abusata anche dalla mitologia classica, poi indebitamente scomparsa dalla memoria collettiva (per l’occasione egregiamente interpretata da Raffaella Di Donfrancesco); il mostruoso ingegno di Dedalo, «complice dell’insano gesto che ho compiuto» (proclamerà proprio la protagonista Pasifae-Raffaella), autore del mostruoso marchingegno che ha permesso il mostruoso amplesso; o forse, ipotesi molto verosimile, il vizio mostruoso celato dai mostruosi pensieri e insinuazioni di Minosse, che nella radice del suo nome ha già scolpito il nome stesso del Minotauro? O «forse un vile gioco degli dei?», ancora una volta burattinai senza scrupoli di un’esistenza umana compromessa dalla loro sete di gloria e fame di vendetta.
Alla base di tutta la storia c’è l’avido re di Creta che non immola come promesso a Poseidone il Toro bianco dalle corna d’oro, ricevuto dallo stesso “dio del mare” quale sacrificio da dedicargli: una dura vendetta che aggiunge un travagliato Minotauro – personaggio dal corpo d’uomo e testa di toro – al già ricco bestiario mitologico greco, popolato da sfingi, tritoni, gorgoni, arpie, satiri e fauni, centauri e divinità polimorfe di ogni genere.
In tutta la vicenda il labirinto è un’allusione, una vera e propria figura retorica paradigmatica che nasconde in sé il concetto stesso di ricerca verso la via del riscatto. In effetti per Platone, così per il mito di Pasifae, il labirinto è unicursale, non lascia vie di fuga alternative, il problema è mentale – come il sembiante cerebrale che ne ha ispirato la forma – e non si può risolvere, le possibilità sono solo due – come fosse algoritmico -, giungere alla meta o ritornare al punto di partenza: superare la vergogna o infliggersi la morte legandosi un cappio al collo, proprio come accaduto alle tante Pasifae della storia, cadute nel labirinto delle perversioni umane e che ancora attendono d’essere riscattate.
Per Caradonna la vita umana è un labirinto di vizi capitali, governati da una forza alla quale è difficile opporsi, opera degli dei: è lo stesso mito ellenistico di Zeus-polimorfo, in cui il dio dell’Olimpo assume spesso sembianze bestiali pur di congiungersi carnalmente alla donna dei propri desideri.
Nel caso specifico è la volontà del vendicativo Poseidone nei confronti di Minosse per non aver sacrificato in suo onore il meraviglioso toro dalle corna d’oro ricevuto in dono. In effetti un tale desiderio, quello di Pasifae, non può essere umano dunque va additato quale colpa degli dei, artefici di un’incontrollabile spinta alla lussuria che l’uomo e la donna ripudiano, ma dalla quale non riescono proprio a sottrarsi: «voglio essere posseduta dal toro bianco, quello dalle corna d’oro … non è un capriccio ma un’acuta necessità!», come del resto recita Pasifae-Raffaella nell’ormai indimenticabile monologo.
La drammatizzazione del mito della donna vilipesa e uccisa – abusata da tutti, dei, uomini e animali – rivive dunque a Galatina, nella sua seconda rappresentazione italiana: il dramma è già stato messo in scena nei Paesi Bassi, dove l’artista Roberto Caradonna vive e lavora, e in seconda istanza a Merano lo scorso martedì 9 maggio presso Palazzo Esplanade in Piazza Rena, negli spazi della Mediateca Multilingue della città.
L’appuntamento è a Galatina, il 20 luglio 2023 alle ore 19:30, presso il Chiostro dell’Ex Convento delle Clarisse in Piazzetta Galluccio.
Scritto, diretto e interpretato da Roberto Caradonna, con la partecipazione di Raffaella Di Donfrancesco nel ruolo di Pasifae.
Prodotto da Maria Angela Madera in collaborazione con Associazione Galatina Letterata e “Centro Studi e Ricerche Palladio”.
Saluti istituzionali del Sindaco Fabio Vergine
Introduce Paolo Vincenti, scrittore e saggista
Riprese video a cura di Gino Brotto