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Il Vallone ci porta in viaggio nel tempo e fa sold out al Cavallino Bianco

– di Lilia Maffei –

Siamo avvezzi, ormai da qualche anno, ad essere stupiti dai ragazzi del Vallone, che di volta in volta ci viziano e ci deliziano con performance teatrali e canore sempre diverse e ogni volta sorprendenti. In ogni singola occasione, restiamo sbalorditi dalla loro stupefacente capacità di superarsi, facendo qualcosa di incredibilmente suggestivo. Meno di un mese fa ci avevano fatto commuovere con una rievocazione storica per il bicentenario della Scuola di Cavalleria e, giovedì 8 giugno, lo hanno fatto di nuovo, portando in scena “L’arme e gli amori”, un viaggio nel tempo, dall’antica Grecia ai giorni nostri, con la guerra e l’amore nella storia dell’uomo, come unico filo conduttore.

In un maestoso Cavallino Bianco gremito di persone, la band de “I Fuoriclasse”, magistralmente guidata da Diego Vergari (l’ex “sassofonista sull’oceano” che esattamente un anno fa ci aveva traghettato sul transatlantico Virginian), accompagna l’intero spettacolo eseguendo brani significativi e toccanti, come “Vietato morire” di Ermal Meta. Si spengono le luci, cala il silenzio, e il sipario si apre risucchiandoci in una nuova dimensione. Dopo un’intro fatta di parole profonde e pungenti, che obbligano alla riflessione sulla bruttezza della guerra nell’esistenza umana, segue un passo dell’Iliade, in una rivisitazione di Baricco, che ci porta in un’acropoli martoriata dalla guerra fra troiani e achei, dopo 9 anni di abusi e razzie, su una pianura cosparsa di corpi e soldati feriti ma ancora avidi di sangue. Siamo nel campo acheo, dove un furente Apollo ha scatenato dardi pestilenziali per vendicare il rapimento di Criseide da parte di Agamennone. A narrare è la stessa fanciulla che, con tono mesto e malinconico, ricorda il vecchio padre, brutalmente scacciato via dal tiranno mentre implorava la sua liberazione. La serie di soprusi continua fino al rapimento dell’incantevole Elena, moglie del re di Sparta Menelao, per mano del troiano Paride, la cui bellezza è ritenuta causa di sciagura. La platea silenziosa si è appena ripresa dalla prevaricazione di Agamennone, che si ritrova ad assistere allo struggente addio fra Andromaca ed Ettore, in cui la moglie implora invano il marito di non combattere ma lui, per non subire il disonore di essersi sottratto allo scontro come un vile disertore, è costretto ad abbandonarla. Le scene si alternano alla musica, incalza il ritmo e aumenta la tensione. Le voci fuori campo, delicate ma taglienti, squarciano la coscienza di una platea che ha già il nodo in gola, messa al muro dal riverbero della violenza e costretta alla riflessione che la dicotomia fra amore e guerra rappresenta da sempre, due facce della stessa medaglia che s’incontrano e si scontrano, svelando la reciproca intensità.

Smorza i toni cupi, Lisistrata, l’ateniese protagonista della commedia di Aristofane che, in chiave satirica restituisce all’opera una sfumatura più leggera. La donna, infatti, stanca della guerra del Peloponneso che tiene gli uomini lontano dalle loro famiglie, convoca un gruppo di donne di Atene per proporre loro il digiuno carnale finché i mariti non firmeranno la pace. Parentesi di una grande prova di emancipazione femminile ai tempi degli dèi, che trova nell’amore una soluzione alla guerra. “Amore e guerra” saranno perciò le parole gridate in 6 lingue diverse, da alcune coppie che si sfidano e poi si abbracciano sul palco. Da Omero ad Aristofane, la maratona letteraria giunge fino a uno dei momenti più dolorosi e appassionanti della “Gerusalemme Liberata” di Tasso: il duello fra Clorinda e Tancredi, introdotto da un incalzante rullo di tamburi, che darà inizio a una sorta di lotta danzante di 3 coppie di guerrieri che si sfidano e che finirà con la tragica morte di Clorinda per mano dell’uomo amato. Lo spettacolo, a tratti ironico, sfiora angolazioni più lievi, con uno sketch tratto da “La guerra”, del compianto Massimo Troisi, in cui il protagonista è un pavido soldato che cerca disperatamente di dissuadere i suoi compagni a trascinarlo nel conflitto, con pretesti e scappatoie varie ma che, fallito il tentativo, sarà colpito a primo colpo appena entrato nel campo di battaglia. 

Siamo al giro di boa e i ragazzi ci regalano ancora una volta un estratto della rievocazione storica di Bir Hakeim, andata in scena con incredibile successo nella caserma Zappalà lo scorso 25 maggio e fortemente voluto in replica anche in questa “sessione teatrale”. Rivediamo il Tenente Colonello Prestisimone, i soldati Luigi e Giovanni e una sintesi della truculenta guerra avvenuta in Libia tra il 27 maggio e l’11 giugno del 1942.

Ancora voci fuori campo, ancora parole su cui riflettere, poi 5 piccole comparse sedute per terra, si ritroveranno a giocare con delle mine fra le mani, ignare del destino che le attende. Tre, due, uno… un tonfo assordante, le luci si spengono e la sensazione di angoscia arriva feroce come un pugno nello stomaco, fermando il respiro di tutti noi.  

Partendo, dunque, dai grandi classici della letteratura fino al cinema di Troisi e Charlie Chaplin, questi ragazzi ci hanno estasiato con un numero straordinario, che colpisce dritto al cuore gli spettatori, accorsi ad assistere all’ultima imperdibile rappresentazione di quest’anno scolastico. La Compagnia del Vallone e la band de “I Fuoriclasse”, binomio perfetto e complementare, ci ha donato l’ennesima opera d’arte, che alterna momenti di sgomento e sopraffazione, a scorci sarcastici e scanzonati e che, dal mondo antico fino a quello attuale, grida tregua, reclama pace e piange disperazione. I nostri ragazzi, che nella vita sono studenti, che un attimo prima di andare in scena ballavano in gruppo dietro le quinte per scaricare la tensione, all’apertura del sipario erano pronti a calcare il palco, come i più consumati attori di Broadway. Ciò che ha reso semplicemente perfetto questo spettacolo, non è stata l’esecuzione impeccabile e senza sbavature di un brano o del copione, ma l’emozione che semplici studenti hanno scatenato intimamente nell’animo degli spettatori. Occhi lucidi, palpitazione e turbamento interiore, sono state le sensazioni trasmesse a una platea completamente incantata da questa superlativa epopea moderna. Siamo ai titoli di coda e ai ringraziamenti non di circostanza, ma di tangibile riconoscenza. Grazie a questa squadra vincente che vede al comando la Dirigente, Prof.ssa Angela Venneri; grazie alla regista Prof.ssa Alessandra De Paolis con le assistenti alla regia Prof.sse Caterina Parlangeli, Maria Rosaria Campa e Maria Luce Merico. Grazie alla direzione musicale della Prof.ssa Roberta Romanello e alla conduzione dell’orchestra di Diego Vergari, ex allievo che non ha ancora reciso il cordone ombelicale con il Vallone e che dimostra, con la sua esperta partecipazione, l’attaccamento a una realtà che valica i confini scolastici e resta ancorata ad una splendida realtà umana. Grazie all’ineguagliabile presentatore, Paolo Maggiore e allo sceneggiatore Vincenzo Persico. Grazie a Francesco, Giovanni, Margherita, Angelica e Annamaria, piccole meravigliose comparse (qualcuna figlia di docenti) che hanno reso unico quest’atto teatrale. Ancora grazie alla Scuola di Cavalleria di Lecce, per tutto il supporto, anche materiale, fornito agli attori, con divise e accessori originali; grazie al Vice Comandante della Scuola di Cavalleria Col. Antonio Camerino, al T. Col. Cosimo Mangia e al Magg. Tommaso Bonuso per averci onorato della loro preziosa presenza. Grazie a Musiclub di Marco Aggioli e a tutto il suo staff per il service di altissimo livello che ha permesso di realizzare una vera opera teatrale. Infine, STANDING OVATION per tutti i ragazzi, gli attori della Compagnia del Vallone, immensi nell’ardore di un capolavoro che merita il massimo dell’attenzione, e i musicisti della band de “I Fuoriclasse”, favolosi nelle loro emozionanti armonie musicali. Allievi e docenti, sciolti in abbracci sinceri sul palco, senza convenevoli né frasi di circostanza, con l’orgoglio negli occhi e nel cuore, accresce quella voglia di appartenenza alla grande famiglia del Vallone. Un pubblico in visibilio, che avrebbe voluto lanciare rose sul palco, testimonia la commozione a cui ci hanno ormai abituato e che speriamo, non finisca mai.

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